L’antica chiesa di Santa Maria a Merino, oggi elevata a titolo di santuario mariano diocesano con decreto del vescovo Monsignor Domenico Umberto D’Ambrosio, vive i suoi momenti felici grazie alla tenacia del parroco Don Giorgio Trotta che ha trasformato questo luogo, quasi abbandonato nel passato, in un’oasi di intensa spiritualità.
L’auspicio che questa chiesa, cara ai viestani, potesse essere trasformata in autentico santuario, veniva proferito da Monsignor Vailati durante la celebrazione della Santa Messa di commiato dalla città e diocesi viestana. Il Presule, prima di lasciare il governo della Diocesi, volle elevare la chiesa al rango di “quasi parrocchia” designando il canonico Don Michele Ascoli a primo parroco. Con Don Michele si notarono subito i primi interventi di restauro del manufatto,cui seguì la sistemazione dell’area destinata alle celebrazioni liturgiche all’aperto, l’acquisto delle statue di Celestino V e di San Marino e la sistemazione della canonica. Don Giorgio sulla stessa scia ha reso il luogo sempre più accogliente e degno di una chiesa aperta alla contemplazione quotidiana della Madre Celeste.
Ma si potrebbe e si dovrebbe fare qualcosa anche per valorizzare tutto il complesso archeologico che circonda l’area, riconosciuta già con decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali dal 2 ottobre 1988. Dai primi anni ‘50 furono eseguiti lavori che portarono a scoprire i resti di una villa romana, di cui rimangono preziose ed imponenti mura. Venne alla luce anche un bellissimo mosaico di cui purtroppo si sono perse le tracce. I restauri sono ricaduti in oblio. Pochi e mal tenuti (ricoperti da rovi ed erbacce) i resti che raccontano la vetustà del luogo. La villa romana scoperta ( o borgo?) era una unità produttiva finalizzata alla coltivazione della terra e alla produzione di vino e olio.
L’imperizia di quanti hanno condotto gli scavi probabilmente ha distrutto quello che il tempo aveva nascosto e non ci permettono di individuare con sicurezza i profili di una villa romana. Per lunghi anni ha spadroneggiato il degrado e la negligenza. Ancora oggi giacciono i resti da quando hanno visto la luce e sembra attualmente improbabile che si possa uscire dai meandri del disinteresse che eviti irrimediabilmente una distruzione.
Dai lavori di scavi sono significative il ritrovamento delle due colonne di granito egiziano che sostengono l’arco trionfale del presbiterio, all’interno del Santuario, e che fortunatamente sono state preservate. Qualcuno attribuisce la fine di Merinum a un maremoto o a una esondazione del vicino torrente macchia, ma più sicure sembrerebbero le continue incursioni dal mare. Per motivi di sicurezza la popolazione abbandono il villaggio e conflui verso Vieste, dove poteva vivere in modo più sicuro. Ma dei Merinati ex Gargano, di cui ci racconta Plinio il vecchio nella sua naturalis historia ,chissà se un giorno sapremo qualcosa che ci racconti meglio la loro e la nostra storia..